Sport e integrazione

Io e il gioco del calcio abitiamo due mondi differenti, la palla a esagoni e pentagoni non è esattamente la mia passione, anzi, ma dato che i miei figli hanno scelto proprio di giocare in quello sport, in quel mondo sono dovuto entrare. Ho appreso così una storia di integrazione e di amicizia, che credo meriti di essere raccontata e analizzata.

Nella squadra in cui esercita il mio secondo figlio, di anni 9, sono presenti due bambini “stranieri”, perfettamente integrati, “amati” e stimati dai compagni, dagli allenatori, così come dai genitori che seguono la squadra nelle varie trasferte. Questi bambini però dai loro genitori non sono mai seguiti, sono infatti due famiglie italiane che di essi si fanno carico, che li hanno in qualche modo “adottati”, andando oltre il semplice servizio di trasporto da un luogo ad un altro per disputare i match.
Si è creato un legame forte di amicizia fra i figli e le frequentazioni vanno ben oltre quelle strettamente necessarie ai fini sportivi. Questa cosa è molto bella, ma fa emergere al contempo un problema, cioè quello dei rapporti con gli adulti, con i genitori di questi bambini. Dove sono questi genitori? Quali difficoltà o quali scelte li spingono a tenersi lontano dalle attività esercitate dai loro figli?

Il comune in cui risiedo registra più o meno dodicimila abitanti, dati del 2016, circa il 10 per cento non è nato in Italia, mi pare una presenza importante che risulta però essere ancora sostanzialmente fantasma. Non rappresentata in politica, nelle associazioni culturali e sportive, nella scuola, una presenza sfuggente che andrebbe - a mio avviso - indagata, capita e se possibile incentivata e sostenuta.


Intanto guardo al bicchiere mezzo pieno, a questi splendidi bambini, amati e ben voluti.

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