Adulto, adesso che fai?

Sabato pomeriggio, campo da pallacanestro dell’oratorio, ci sono molti bambini in età da scuola primaria e qualche ragazzino un poco più grande, inquadrabile nella fascia chiamata “preadolescenza”, c’è un sole quasi primaverile e ne approfitto per lanciare qualche palla dentro il cesto, in compagnia di mio figlio e di qualche suo amico.

Di fronte a me, sulla panchina posta al fianco del campo da calcio, quella adibita ad accogliere squadra ed allenatore, una compagnia di sette o otto ragazzini prende posto, chiacchierano e ridono.
Ad un certo punto uno di loro si arrampica sulla struttura in metallo che fa da copertura ai posti a sedere, raggiunge la sommità e si siede sul traverso, così da poter mettere i piedi in testa agli amici sotto rimasti.
Prontamente s’arrampica un secondo ragazzo, al fine di raggiungere il primo, l’esilio struttura inizia a flettere sotto il peso dei due. Intervengo, li avviso che così facendo rischiano di rompere la copertura e di farsi anche male. Uno dei due scende subito, l’altro resta appollaiato sulla sommità, non dice nulla e mi guarda con aria di sfida, come a dire: “e adesso che fai?”.

Non ha enunciato il pensiero, l’ho percepito, di fronte a quell’implicita domanda ebbene non avevo una risposta.
Fortunatamente il ragazzo poco dopo ha desistito, è bastato dunque il mio primo richiamo, ma dentro di me è rimasto irrisolto il quesito: “che fare, come agire e comportarsi in queste situazioni?”.

Sono un adulto, la mia età dice questo, ero lì per giocare con mio figlio undicenne, l’unico adulto in uno spazio popolato da un centinaio di minori.
Ecco, ho l’impressione di una biasimabile assenza degli adulti negli spazi dove si muovono e crescono i bambini e i ragazzi.

Ipotizzo che la presenza di qualche genitore potrebbe fare la differenza, non si tratta di fare i carabinieri, né di organizzare turni di guardia, ma di mettersi in gioco, di stare con i ragazzi, di ascoltarli così come di fare cose con loro, anche molto semplici ed estemporanee, come il lanciare la palla dentro un cesto.

Dico e penso una cosa sbagliata?
Ho formulato una risposta errata a quell’implicita domanda?





Commenti

  1. Esiste questo modo di esserci, come adulti di riferimento in una comunità che sempre più si allarga e sfuma i suoi contorni. Si chiama 'genitorialitá sociale', perché si è genitori, ma anche, prima ancora, cittadini responsabili in quanto cittadini, in quanto facenti parte di un'unica comunità, quella umana, che ci chiede per sua e nostra natura vicinanza, prossimità, accoglienza dell'altro . In questo senso va il reato di omissione di soccorso....
    Ma tornando ai ragazzini: la presenza inserita qua e lá di adulti può davvero fare la differenza, come nella serata di Halloween: se sul territorio girano non solo gruppetti che possono fare esplodere le cassette della posta ma anche genitori coi loro bambini, la loro sola presenza spinge a maggior correttezza nei comportamenti, maggior rispetto di persone e cose.
    Quindi sí: concordo con la presenza di adulti non tanto per richiamare (e quando serve va fatto) ma per 'esserci', e la sola presenza dice 'mi interessa chi sei, che fai, mi interessa il posto che abitiamo insieme, me ne prendo cura, del posto e di te".

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    1. Mi allaccio al commento di Ale (che ringrazio), in particolare all’ultimo passaggio: ‘mi interessa chi sei, che fai, mi interessa il posto che abitiamo insieme, me ne prendo cura, del posto e di te”.
      Come prendersi cura di un luogo e di chi vi abita? Visto che stiamo parlando di ragazzini, di preadolescenti, credo che un modo per prendersi cura di loro, per lo meno per iniziare, possa essere quello di istituire un osservatorio minori.
      Un tavolo di confronto e di pensiero riguardante l’ampia fascia d’età minorile, con particolare attenzione sugli 8-14 anni. Al tavolo potrebbero sedere: i parroci degli oratori presenti sul territorio; l’istituto comprensivo (con dei rappresentanti); gli allenatori sportivi e tutte le figure legate alla formazione/educazione dei ragazzi, gli assessori ai servizi sociali, alla cultura, allo sport e all’istruzione; forse anche i gestori dei locali pubblici presso cui i ragazzini talvolta spendono il loro tempo libero.
      Direi che potrebbe essere interessante anche ragionare sulla presenza di rappresentanti delle comunità straniere che abitano il nostro territorio, perché se talvolta è difficile il rapporto con i nostri figli, capite come sia molto più complesso rapportarsi con chi ha una storia diversa.
      È un elenco ampio che vuole coinvolgere tutti gli attori (pubblici e privati) che ruotano attorno ai minori, per poter ragionare su di essi, per poter rispondere alla domanda che apre questo post: “come mi prendo cura di te?”.

      Nell’elenco sembrerebbero mancare degli attori: le famiglie, i genitori. Credo che esse possano essere considerate destinatarie, è alle famiglie che dobbiamo guardare quando guardiamo ai ragazzini, è con esse che dobbiamo interagire, interloquire. Probabilmente questo è il passaggio più delicato, vien facile pensare delle azioni con e per i minori, molto più complesso pensare e ragionare dei progetti che oltre ai ragazzi intercettino anche gli adulti, perché adulto significa educatore, significa -che lo si voglia o meno - cittadino responsabile.

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